BRUNO CIAPPONI LANDI
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2017 - Pubblicazioni
 
72° della Liberazione martedì 25 aprile 2017 [Aprica] manifestazione interprovinciale Sondrio-Brescia , Ciapponi Landi Bruno e Messa Fausta, Comitato provinciale per la celebrazione dell’anniversario della Liberazione, Sondrio Lito Polaris 2017, p. 4
 
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L'intervento. Si parla tanto di cultura. Ma come si usano i soldi? in "La provincia" 5.5.2017, CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p.
 
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La Madonna di Tirano simbolo di un paese, , CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p.
 
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Luigi De Bernardi giornalista e scrittore in , CIAPPONI LANDI Bruno, , Sondrio 2017, p.
 
   
 
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La raccolta Giorgio Luzzi. Versi inediti e antologia in , CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p.
 
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Due curiose antiche pietre lavorate a Morbegnoi in , CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p.
 
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Neuropsichiatria a Sondrio. Onoriamo il fondatore Calvi, in "La Provincia" 27 luglio 2017, CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p.
 
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Dalla Partenza del Crociato al Prode Anselmo , CIAPPONI LANDI Bruno, Associazione Grytzko Mascioni -Museo Etnografico Tiranese, Sondrio, Tipografia Bettini 2017, p. 49
 
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Il santuario di Tirano duomo delle valli, in “L’Ordine”, inserto de “La provincia” domenica 3 settembre 2017, CIAPPONI LANDI Brunoi, , 2017, p.
 
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La mia via Fracaiolo in "I regiĂąr de Valtelina" n.3 - Settembre 2017 , CIAPPONI LANDI Bruno, , 2017, p. 24-25
 
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La “mia” via Fracaiolo Non avevo ancora due anni quando la mamma dovette lasciarmi per andare a curarsi in sanatorio, all’Alpina. Benché nel dopoguerra ci fossero gli antibiotici che debellarono la tisi, la malattica che costringeva a un lungo ricovero era ancora vissuta come un evento senza scampo. Anche la morte della mamma fu prevista, tanto che uno zio di Morbegno ipotizzò seriamente di adottarmi, una volta che fossi rimasto orfano. Dopo quasi due anni però la mamma guarì e tornò a casa. Nel frattempo fui affidato alla Giuditta che amai, riamato, proprio come un figlio. Oggi la si chiamerebbe tata, ma allora era la balia e poiché non allattava veniva definita balia asciutta. Io vissi intensamente il mio rapporto con lei, totale riferimento materno per due anni cruciali nella vita di un bimbo. Quasi mi spiace riconoscerlo pensando a quanto mi ha amato la mamma, al suo sacrificio obbligato di non vedermi, se non in fotografia, per tutto quel tempo, ma l’amore di quegli anni io lo ebbi dalla Giuditta e mentre del distacco dalla mamma, a meno di due anni, non ho memoria, quello con lei mi pesò molto anche perché, per abituarmi alla nuova situazione, mi fu impedito per un tempo che mi sembrò tantissimo, di tornare da lei, nella casa in cui avevo vissuto le mie prime esperienze di vita, in quella via Fracaiolo che avevo imparato ad amare come mio ambiente naturale. La via era in realtà un piccolo quartiere popolare caratterizzato dalle scelte sociali di un benefattore Giuseppe Fumagalli il cui busto in marmo bianco, di ottima mano, era conservato in una nicchia del Giardino della Società Operaia, proprietaria di buona parte degli stabili. Lì andavo col “nonno” Giacomo (il papà della Giuditta) e prendevo posto con lui fra le piste dei campi di bocce dove svolgeva il ruolo di arbitro. Da lì vedevo i giocatori impegnarsi nel tiro e calibrarne la forza e anche mi trastullavo con l’attrezzo per misurare le distanze fra boccia e pallino nei casi dubbi. Credo che, a fine quartino, il nonno Giacomo mi permettesse anche di bagnarmi le labbra con il residuo di vino del suo bicchiere, il tipico calice di vetro di quel tempo. In realtà non era gradevole, ma era una conquista “sociale”. Mi dicono che avessi anche imparato ad ordinare da bere all’Elvira, la moglie del Toni, gestori dell’osteria, dicendo (o farfugliando): “un quarto di vino bono”. A Fracaiolo allora non c’erano più i bagni pubblici della vedova Botterini, ma c’erano ancora le ruote ad acqua degli opifici di un tempo che ancora muovevano il maglio del Mambretti, che sprizzava scintille dal buio dell’officina. L’acqua del Mallero era l’elemento dominante l’ambiente, sia che scorresse nel suo letto o fluisse nelle derivazioni. La principale era quella che alimentava il lungo lavatoio coperto costruito per tutti, ma in particolare per offrire alle donne del popolo una possibilità di lavoro. L’incarico di deviare l’acqua era della Giuditta che a questo scopo deteneva una speciale manovella. Anche lei arrotondava le entrate di famiglia, lavando le lenzuola della caserma della Guardia di Finanza. Quando le ripiegava con una collaboratrice era una festa ed io volevo sempre infilarmi nel mezzo di un lenzuolo e farmi dondolare. Era anche bello per me il viaggio per la consegna, seduto in cima alla piccola catasta profumata di bucato, ordinata e coperta da un telo, sul bel carrettino tirato dal Luganega, che era il mendicante “titolare” del portone principale della parrocchiale, che dormiva in un freddo locale a piano terra della casa. Delle persone di via Fracaiolo molti ricordi sono sfumati, altri meno. Ricordo i nonni della Carluccia, certo la prima fra le mie amiche d’infanzia, i Masseretti, venditori ambulanti già dotati di automobile. La rimessa era sotto la camera in cui dormivo e i rumori dell’avviamento del motore e quelli di attesa perché il motore si riscaldasse, mi erano diventati familiari come il loro graduale spegnersi dopo la partenza. Erano tanti gli abitanti della via, ed avevano un momento sociale di incontro nel mese di maggio per il rosario autogestito alla cappella mariana (il “capitello”) eretta nel cuore dell’abitato. E erano tanti anche i loro bambini, i miei primi compagni ed amici. Amicizie che continuarono nella vita furono quelle con Elio Pelizzatti, ahimè prematuramente scomparso, con la Ida Donchi e con Wilma Perlot. Raschiando, per così dire, le pareti del “magazzino dei ricordi” emergono, poco più di un flash, il “magnano” Moizi e la Caterina (forse Pagani), nelle case contrapposte all’imbocco della via; la nonna Cesarina dell’Ivan Mambretti, che abitava la casa più signorile con la facciata sul lungo Mallero; i Pasina, con il ponticello sul Malleretto davanti a casa e, ancora, l’Albino Quadrio, l’invalido semiparalizzato, con tanti figli e la moglie Onorina di Tartano, che si muoveva solo in carrozzella e la domenica delle Palme vendeva, fuori dalla chiesa, i rametti d’ulivo con i fiori colorati di carta confezionati con l’apporto delle ragazze del vicinato in una gara di solidarietà. Ma ancora, la pergola sul terrapieno a cui si accedeva soltanto dall’appartamento del primo piano della casa di fronte alla “mia” e che raggiunsi raramente. Non so quanto ci misi a capire che il livello delle case, incassate fra le rocce del Masegra e le imponenti arginature, era un tempo lo stesso del Mallero, ma quella posizione raccolta e protetta sembrava voluta, a parte il disagio delle rampe che si dovevano salire per uscirne. E si usciva per raggiungere e tagliare le giovani fronde delle piante cresciute nell’alveo del torrente, di cui erano ghiotti i conigli, o per raggiungere il centro commerciale cittadino, che iniziava in piazza Cavour (che ci si ostinava a chiamare “piazza vecchia” con irritazione dell’allora giovane futuro sindaco Arturo Schena) e che aveva le sue articolazioni nelle vie Lavizzari, Dante, Cavallotti e loro diramazioni. Mi erano diventati familiari i negozi del Tito Gianatti, del Carrara, del Capararo, del Magni, del Tognolina, del Pozzoni, del Samaden, dell’Orio, del Paini, del Grillo, del Toccalli, del Martinelli e la Provvida, per non parlare delle due bancarelle di giocattoli sotto i portici davanti al Rigamonti, una delle quali era della signora Salini, la mamma dell’unico prestigiatore locale. I negozi erano molti di più, ma la memoria si limita a questi, né del resto è il caso di farne qui un elenco completo. Quel mondo perduto, vive nel ricordo (fin che ci sarà) di un tempo in cui fummo felici, o che, come tale, ci appare ancora. “Vi ravviso a luoghi ameni, in cui lieti, in cui sereni, sì tranquillo i dì passai della prima gioventù” - canta il conte nella “Sonnambula” - “tali luoghi io ritrovai, ma quei dì non trovo più”. Resta tuttavia la possibilità di ricordare e di condividere con chi può ricordare a sua volta e cavarne un riverbero di quella condizione di serenità piena di promesse. In fondo le nostre prospettive stanno ancora nella speranza. Bruno Ciapponi Landi
 

Fermo immagine Arturo. Ricordi Aneddoti Testimonianze.[ sul prof. Arturo Colombo], CIAPPONI LANDI Bruno, Edizione fuori commercio a cura della famiglia, Milano 2017, p. 166
 
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Natale in via Toti e altro sull'onda dei ricordi, in "I RegiĂąr de Valtelina", n.5 - dicembre 2017, CIAPPONI LANDI Bruno, Associazione amici anziani Sondrio, Sondrio 2017, p. 9-11

Il prete che amava l'arte e la storia [don Giovanni Da Prada] in , CIAPPONI LANDI Bruno, La provincia, Como 2017, p. 6
 
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2017 - Presentazioni
 
La filarmonica di Semogo 1922-1934. Vita di paese, documenti, testimonianze,e ricordi, Ciapponi Landi Bruno a Angelo TRABUCCHI, , Valdidentro 2017, p. 109
 
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